SE MI GUARDI IO MI VEDO - paesaggio lago montano

“Un chiaro specchio sarà per te il mio occhio…” (A. Branduardi)

Quando guardiamo nello specchio vediamo riflessi i nostri tratti; lineamenti, espressioni, pose e atteggiamenti si condensano in forme che sentiamo familiari. Lo specchio aiuta a conoscerci, mostra come siamo fatti: volti e corpi che hanno modi unici di muoversi e occupare lo spazio che sta attorno. Quando l’occhio dell’altro si posa su di noi, diviene specchio, superficie traslucida che riflette la nostra immagine, così come essa si compone nella mente di chi ci sta di fronte.

“Ora, a un certo punto, viene il momento in cui il bambino si guarda intorno. […] Che cosa vede il lattante quando guarda il viso della madre? Secondo me, di solito ciò che il lattante vede è se stesso”. (D.H. Winnicott, 1971) Il neonato vede se stesso riflesso negli occhi della mamma; giorno dopo giorno curioso scruta, impara a conoscersi e riconoscersi. Da lì in poi, ogni relazione importante si riempirà di sguardi–specchio che, come tocchi di matita, andranno a tratteggiare la sua identità bambina; tocco dopo tocco, tra aggiustamenti e correzioni, la bozza si delinea in un ritratto. “Ogni volta che mi guardi nasco nei tuoi occhi” (J. Riechmann)

Lo sguardo si fa specchio, il suo riflesso diviene immagine, un profilo intimo e personale che parla di noi e ci tocca da vicino. In esso troviamo scritto come l’altro ci vede; in esso ci tuffiamo per capire chi siamo. Negli occhi degli altri cerchiamo conferme, cogliamo orientamenti, poniamo interrogativi. Specchio, specchio delle mie brame, chi è la più bella del reame? Ogni sguardo che spesso ci raggiunge e rimane lì, appoggiato per un po’, non resta solo un soffio sulla pelle, ma cala nel profondo: mira al nostro centro e diventa identità. In esso finiamo per credere, ad esso tendiamo ad aderire, sentendolo sempre più come una parte di noi. Se continui a guardarmi così, allora io mi sento così e forse sono proprio così, “come tu mi vedi”.

Sguardi vuoti, opachi, vitrei, restituiscono immagini eteree, imprecise e sfocate. Sguardi severi, duri e giudicanti schiacciano sotto il loro peso. Sguardi ingombri e pieni d’altro non hanno lo spazio per dire chi siamo. Lasciano brancolare in un labirinto di specchi, in balia di superfici deformate, appannate, screziate. Si resta lì, circondati da un ripetersi di sagome distorte, in cui non ci si può riconoscere. Si è costretti a distogliere lo sguardo, a disagio, davanti a una versione sfalsata, imbruttita e frammentata di sé. 

Al contrario, sguardi attenti, aperti, limpidi riflettono immagini accurate, nitide e definite. Sguardi sintonizzati, accoglienti ed affettuosi raccontano qualcosa di bello su di noi. Ci si trova di fronte ad una forma buona, che vien voglia di avvicinare e rimirare a lungo; un riverbero luminoso, da cui prendere spunto per costruire il proprio senso di Sé, amabile e coeso. Per questo è così bello sentirsi, almeno per un attimo, “la luce degli occhi” di chi si ama. Da quello sguardo un fascio radioso torna indietro e investe, facendoci risplendere come la più speciale delle creature.

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