Ansia o angoscia?
Non c’è adolescente che nel mio studio non adoperi almeno qualche volta la parola “ansia”; e sempre più frequentemente sento pronunciare questo termine anche dai preadolescenti. L’ansia sembra diventata l’emozione predominante, quella che moltissimi giovani percepiscono a volte molto acutamente o come un sottofondo sommesso ma costante.
Forse, più che di ansia, si tratta di angoscia.
L’ansia è un’emozione utile: mette in allerta quando sussiste una situazione di pericolo, oggettiva o soggettiva che sia. L’angoscia invece è un terrore senza nome, pervasivo e paralizzante, a volte connesso con un senso d’identità instabile.
L’incertezza sul futuro o anche una fragilità interna?
L’emergenza ambientale, la messa in crisi dei valori condivisi, i drammi sociali: non è semplice al giorno d’oggi fantasticare prospettive rassicuranti e fauste. L’esperienza recente della pandemia, trauma collettivo su scala mondiale, e l’invasione russa dell’Ucraina, con il fantasma di una nuova guerra mondiale, hanno reso tangibili le fantasie catastrofiche. Lo stato d’animo degli adolescenti certamente si intreccia all’incertezza legata a un futuro su cui è difficile fare investimenti.
Eppure mi sembra di vedere, al di là dell’umore tragico che colora questo periodo storico, un disagio più intimo, legato al processo di costruzione dell’identità.
La fragilità di chi?
Mi chiedo se la fragilità dei giovani di oggi, così preoccupati -ad esempio- di non essere all’altezza delle aspettative da restare paralizzati, non sia legata alla nostra limitata capacità di essere adulti. Quante volte chiediamo ai bambini cose che noi non sappiamo fare (come, ad esempio, usare meglio il cellulare) liquidando in fretta i loro “Ma anche tu non lo fai!”? Quante volte ci comportiamo in un certo modo per non fare brutta figura con chi ci guarda più che per aiutare nostro figlio a crescere (sgridandolo, ad esempio, per un certo atteggiamento solo perché ci ha messo in imbarazzo)? Quante volte chiediamo ai giovani, senza neanche usare le parole, di evitare argomenti che ci addolorano (l’assenza di un marito/padre, ad esempio, che se n’è andato e che non si fa più sentire)? Quante volte, insomma, chiediamo a loro di rispondere ai nostri bisogni più che di cercare delle risposte ai propri?
Gli effetti del sentirsi inadeguati
Nonostante un’apparente maggiore apertura al dialogo, mi sembra che sia particolarmente problematico -per noi adulti di queste ultime generazioni- accettare ciò che gli adolescenti hanno da dire, se questo ci fa sentire inadeguati. Vacilliamo molto. A me sembra molto più di un tempo.
Evitando i pensieri che disturbano noi, così fragili, e facendo capire ai ragazzi che devono evitare di raccontarceli, li priviamo della possibilità di comprendere quei pensieri, di passarci attraverso, di conoscerli. Di conoscersi. Li costringiamo a mettere da parte aspetti autentici di sé e, così facendo, remiamo contro alla costruzione di un’identità solida.
Hanno bisogno, i ragazzi, di adulti che sappiano ascoltarli anche su quei temi che spesso, invece, noi banalizziamo difensivamente. Alcune cose ci feriscono, certo; essere adulti però significa anche imparare a tollerare il dolore.
Essere adulti al giorno d’oggi
Non è facile porre domande sulla vita agli adolescenti: temiamo il dolore nelle loro risposte, ci disturba intimamente. Siamo stati noi, però, a promuovere e a costruire modalità relazionali più affettive tra adulti e adolescenti, rapporti in cui le distanze sono drasticamente ridotte rispetto a un tempo. Se lo abbiamo fatto, non possiamo poi sottrarci alla tristezza, alla paura e alla rabbia dei giovani. Non possiamo mettere a tacere le emozioni che provano solo perché ci fanno sentire inadeguati. Dobbiamo legittimare quelle emozioni e imparare a starci dentro insieme a loro, che le provano.
Non è facile ascoltare DAVVERO quello che c’è dietro alla parola “ansia”, che così frequentemente arriva al nostro orecchio, ma è importante imparare a farlo.
Adolescenti, siete chiamati a metterci le mani
Quando inizieremo a farlo troveremo dall’altra parte ragazzi che hanno delle cose da dire, profondi, adolescenti capaci di riflettere su di sé e sulle relazioni. Li descriviamo spesso come appiattiti, indifferenti, ma quando si sentono autenticamente compresi e sostenuti si rivelano capaci di fare spazio al desiderio. Hanno dentro una spinta a esistere che necessita di essere vista, custodita e difesa, per riuscire a emergere in tutta la sua vitalità.
Troveremo dall’altra parte persone che hanno bisogno di vedere, nei nostri occhi di adulti solidi, che sono qualcuno, che hanno valore, che rivestono un ruolo in questo mondo e che sono chiamati a metterci le mani. Perché ci fidiamo di loro, perché ne sono capaci.